Mer. Dic 18th, 2024

Due chiacchiere con il maestro che negli anni è divenuto icona della cultura non omologata e poliedrica, dopo che nei giorni scorsi ha ricevuto un riconoscimento per quanto fin qui fatto.

Parliamo subito di questo riconoscimento.
Del mio premio alla carriera – esordisce quasi a volere dare un titolo a questa intervista – devo tutto alla vocazione che è ONTOGENESI E AL POLIFEMO DI MICHELE LIZZI CHE, CON ACI E GALATEA, RAPPRESENTANO LA NOSTRA FILOGENESI RADIATA NEL COSMO.
La dottoressa Giovanna Cavarretta nel presentare le motivazioni grazie alle quali il Circolo Culturale “Giacomo Giardina” mi ha conferito, sabato 14 dicembre 2024, il “Premio Speciale alla Carriera” all’interno della XVIII Edizione del Premio di Poesia, Aspra Museo dell’Acciuga, così ha iniziato parlando di me in terza persona:
La sua grande magnanimità, l’impegno profuso per una sana crescita intellettiva ed umana dei suoi allievi, nonché una totale assenza di pregiudizi di classe, lo celebrano come “Maestro del Popolo”.
E nell’Attestato di merito rilasciatomi firmato dal presidente del Circolo Giuseppe Bagnasco e dall’altro della giuria, Tommaso Romano (operatori tutti che ringrazio per i lunghi percorsi seguiti), viene codificata la sintesi della già molto sintetica relazione fatta dalla Cavarretta.

Perché riceve questo riconoscimento?
La motivazione del mio Premio Speciale?
Per la sua importante opera nel campo dell’insegnamento e della cultura in qualità di Maestro, Poeta, Saggista e Musicofilo, nonché per la capacità di sapersi elevare, con tenacia e perseveranza, al di sopra di qualsiasi preconcetto morale, al fine di affermare l’importanza dei valori etici.

“Maestro del Popolo” le piace? E in che senso?
Certamente. Cominciai ad insegnare nell’ottobre del 1977. Era l’anno della Legge 4 agosto 1977, nota come 517. Vi si diceva: “…la scuola attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la presentazione di insegnanti specializzati…”. Era una ridondante replica della Legge Coppino che a fine Ottocento rendeva obbligatoria parte della scuola dell’obbligo e portava a cinque anni il percorso elementare… Ma si dovevano costruire le scuole. Allo stesso modo l’inserimento nelle classi comuni dei portatori di handicap doveva avvenire come segnale tardivo di una scuola che non poteva non essere inclusiva.

Ma nessuno avevano formato gli insegnanti. Molti alunni erano privi di diagnosi funzionali, mancavano i docenti per il sostegno alle classi. E che classi numerose! La 517 era segno di un’Italia che cresceva e andava sostenuta. Fui fra questi bei giovani insegnanti innovativi all’interno di un “medioevo” psicodidattico. Trovai ottimi colleghi e abili insegnanti che coi normodotati ci sapevano proprio fare. Si entrava a scuola con Leopardi e non con Piaget. Si entrava anche accumulando punteggio nelle corsie clientelari delle scuole private, prevalentemente cattoliche. Le vie della Carità erano infinite per saltare meglio i percorsi accidentati del Prossimo.
Tanta utile “cristianità” andava emendata proprio nella direzione del Cristianesimo: accogliere tutti in una comunità di diverse espressioni e di linguaggi altri rispetto a quelli abituali. In breve: fui fra i pionieri di questa civile e democratica inclusione. Subii attacchi, linciaggi, creai sgomento… Ero visto come Polifemo, ma avevo due occhi e ben aperti! Le famiglie meno agiate si tenevano in casa i bambini down. Oggi è superata perfino la 517 mai abrogata. Infatti si parla di aulici BES (Bisogni Educativi Speciali) e tutti studiano sia Piaget sia lo sviluppo evolutivo sia la psicodidattica per poter progettare obiettivi educativi in modo coerente. Sapeste come Lucio Marchese animò di “Bessati” le mie classi! Senza mai ricevere incentivi. Per ciascun “Bessato” in classe ogni insegnante dovrebbe prendere una ricompensa economica aggiuntiva di almeno 100 euro netti al mese.

Non sente stretta questa definizione?
La locuzione “Maestro del Popolo” non connota l’insegnante in una assurda lateralizzazione politica. I “Bessati” sono anime umane interclassiste da “comprendere”: nell’accezione etimologica del termine.
Donna Giovanna Cavarretta ha riferito affermazioni su di me davvero calzanti col mio iter culturale. Citiamola ancora su ciò che ha detto di me:
La sua vena creativa ha trovato la massima espressione nella “Poesia Percussiva” in cui musica e poesia, archi e legni e parole si fondono in una sinfonia potente che dilatano la percezione del tempo e dello spazio. Il suo è un modo di poetare rivolto alla liberazione totale dell’amore in tutte le sue manifestazioni. Musicofilo e metalinguista per eccellenza ha portato alla luce una serie di liriche e saggi che oltrepassano vie già battute, arricchite da un vissuto sempre proteso all’esplorazione della propria interiorità.

Quindi anche poeta e musicofilo?
Giovanna Cavarretta mi ha studiato. In queste sue ultime affermazioni ha dimostrato di aver “compreso” un mio lontano saggio sulla mia poesia che è “Poesia Percussiva”. Un saggio che lei solo conosce; io non l’ho mai pubblicato. Non è un saggio lungo, ma ora non è il caso di riportarlo.
E allora?
Come non capire che io devo molto agli insegnamenti umani appresi da Michele Lizzi? Nella relazione dalla Cavarretta ricordato per i due brani pianistici (“Preludio –Pensieri d’amore-“ del 14 dicembre 1971 e “Scherzo” del 15 gennaio 1972, brani musicali sviluppati su alcune mie linee melodiche improvvisate) eseguiti in Prima Mondiale dal pianista bagherese Giovanni Moncada in occasione della presentazione del mio “69” fatta dal Comune in Sala Borremans nel maggio 2022? Ed è certo vero che tutti i miei studi su Lizzi hanno contribuito a riportarlo alla ribalta. E musicologi e musicologhe (Cavaleri, Bellia, Capodicasa…) -insieme al Musicofilo che sono io- sono pervenuti a riconoscere in Lizzi, dopo Bellini, l’altro grande compositore siciliano agrigentino non secondo a nessuno. All’appello mancano colpevolmente e volutamente i teatri. Opere come Pantea, L’amore di Galatea (libretto del poeta Salvatore Quasimodo), “Sagra del Signore della Nave” non sono mera sicilianità. E’ universale canto classico con modi sonori di richiamo globale. La “classicità” di Lizzi è certamente legame con la sua terra (Agrigento in modo particolare), ma con “L’amore di Galatea” svetta musicalmente ponendosi su vette artistiche più elevate dell’Etna. Pur essendo ai piedi dell’attivo vulcano, di fatto con Polifemo, Aci e Galatea, Lizzi finisce per renderci un’Etna al centro dell’isola, e qui non possiamo richiamare i siti del Ciclope di Luis de Góngora che non coincidono con quelli poetici di Quasimodo che pure in questo libretto ha scritto versi che acchiappano; il mito di Polifemo, specialmente in musica, è “diversità” al centro del mondo.

Va rievocata per conoscere la grandezza della stessa Galatea e la grande traccia sonora nella Storia dell’Opera. E quindi sono utili i ritorni negli stilemi di Lully in “Acis e Galatée” o negli altri di Händel sia che si tratti della Serenata “Aci, Galatea e Polifemo” sia che si approdi in Acis and Galatea dello stesso compositore barocco. Ci si rende conto che gli stilemi barocchi hanno attinto dalla classicità e da quelle acque mediterranee dove Galatea e Aci si sono riversati dopo essersi in acqua sciolti; e noi inaliamo ancora i loro aliti amorosi; e come non capire che lo stesso Polifemo amava e cercava amore ed inclusione? Polifemo amò Aci, amò Galatea. In Lizzi Polifemo si umanizza. Lizzi ci aiuta a capire meglio ogni diversità sonora espressa da Bellini, Händel, Lully: nel barocco ci sono melodie d’incanto; in Lizzi “trenodie” e aggraziate danze PATRIMONIO DELL’UNIVERSO.

Maestro ma che cosa è la poesia?
La vera poesia?
Non c’è alta poesia se non mira a scrostare conformismo e abitudini. Giardina è il più grande poeta trapiantato a Bagheria. Buttitta, Civello sono poeti di rilievo; Buttitta era anche mio amico e a scuola facevo drammatizzare i suoi versi ai mie alunni per valorizzare anche l’importanza della nostra Prima Lingua. “Parla in italiano!”: si sbraitava un tempo a tanti innocenti per far loro sentire il peso della discriminazione di classe. Ma Giardina ha qualcosa in più: ha l’aureola della mistica della povertà messa a nudo nel momento della sua morte. Giardina era un elegante “Polifemo” in cui si riflettevano i tanti senza occhi che non riuscivano a vederlo dentro.

Legare la sua poesia ancora al Futurismo? Tutto andrebbe riletto. E dovremmo denudare Palazzeschi da Giardina tanto amato e citato. La prova? Dov’è la memoria? A Bagheria non c’è nulla che ricordi il poeta pecoraio, se non il Circolo del Premio che tiene viva la nobile fiammella. Ci vuole un sindaco che oltre alle tante piccole e lodevoli iniziative culturali pensi alla Grandeur: GIACOMO GIARDINA merita una statua al centro di Bagheria per ricordare a tutti la classicità bucolica che fu del grande Virgilio e di Peter Rosegger.

Sarebbe opera assai cristiana. Ecco perché io ho ritirato il Premio con la Gorgiera illuminata.
Vivevo la grandezza della poesia georgica “Vestirsi di lucciole” di Giardina.
Ne cito una parte:

-Bisogna vestirsi di lucciole!
La speranza è una follia!
La vita è una semplice colorazione!
Sghignazzo ancora guardando
il fiume colorato della fantasia:
mi vedo come città che cammini,
piena di fiaccole vagabonde,
attraverso fonde notti di catrame.


Non ravvisate in questi versi il fiume d’amore di Aci e Galatea? E’ l’universale fiume dei Grandi!

Bagheria, 16 dicembre 2024.
Intervista a Giuseppe Di Salvo

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.