Da una disavventura con Trenitalia, il ritorno alle origini a piazza Guadagna. E se non fosse vero, non avrei saputo inventarlo.
I giorni festivi, quelli rossi nel calendario, sono giorni in cui i treni italiani hanno una circolazione differente.
Dimenticandomene completamente, mi ritrovo fortemente in ritardo rispetto alla tabella di marcia che mi voleva a Palermo nella primissima mattinata e che invece mi costringe a più di un ora di ritardo. Avviso l’amico con cui mi devo incontrare per motivi di lavoro (nonostante la giornata festiva) ma mi dice che non può aspettarmi, scendo alla prima fermata utile, per tornare indietro. La prima fermata è Guadagna, una di quelle del circuito urbano della metropolitana, che negli anni è diventata mediamente efficiente. Il primo treno nella direzione opposta è tra un’ora. Risalgo alla luce e non riconosco piazza Guadagna: è cambiata con le strutture esterne della fermata. Vedo la via Oreto lontana ma mi confondo. C’è un bar: in un’ora, caffè e magari pizzetta ci stanno. Fuori dal bar un tavolo di plastica ospita due amiconi avanti con gli anni, il clima è quello del bar del quartiere, mentre una signora ha organizzato un tagliere con tutto il necessario per condire le moffolette tradizionali del giorno dei morti: qualcuno ha già gradito. Pizette non ne fanno scelgo la moffoletta, e i due amiconi mi invitano a sedere con loro: cambio pelle e torno ad essere palermitano D.O.C.
I. Giuvà, fammi capiri… ca mi piarsi: ma a via Bonriposu qual’è?
G. Oh beddamatri ma mi ricisti ca sì ri M’paliermu. È chidda ‘nfacciu; chista chi tagghia è Santa Maria del Gesù e dda c’è Via Villgrazia.
Mi ci ritrovo subito. Santa Maria del Gesù la facevamo tutta fino in fondo, tagliando viale Regione Siciliana in un giro strano da Bonagia, nelle uscite di enduro del sabato mattina, e si spuntava a Belmonte Mezzagno: mi dispiace non potere descrivere le immagini che affollano la mia memoria.
La via Buonriposo e la via Villagrazia sono legate alla morte di mio padre e alla nascita di mia madre la cui famiglia era originaria di quest’ultima zona.
I. Giuvà, a via Bonriposu c’iera u zu’ Saru, ca vinnieva mancimi pi l’armali, e a canigghia c’ha purtuava iu, ancuora c’ie? Comu si chiamava ri cugnuaomi?
G. Ca’ botta ri sali, cierto ca m’u ricuardu, so frati sta ancuara cca, ma u cugnuoami nun mi viene. Iddu muriù pirò e so figghiu ‘un ci vuasi rari arienzia.
Mi dispiace non ricordare il cognome, era un vecchio cliente, che fornivamo di crusca e cruschello prodotta nel nostro mulino di Corleone. Alla morte di mio padre era diventato uno di quei clienti-amici che mi ritrovavo sempre nei momenti di incompetenza che richiedevano confronto e conforto.
I. A finuta ra via Villagrazia c’iera Stefano M. Avieva mancimi macaru iddu, ma iddu e puru cuci….
G. ‘Nca pirciò, chi vieni a diri: me cucinu. So matri e S. come a me matri.
I. Ma talè che bedda chista. Me matri puru S. è, cucinu ri me matri puru.
G. Ma chi siemu, cucini?
Azz ho davvero trovato un mio cugino tra un milione di persone a Palermo, e tutto per avere sbagliato un treno.
Parliamo di parenti di cui ricordavo pochissimo, di mio nonno materno, che non ho neanche conosciuto perché già morto da due anni quando sono nato, di una sua parente suora, e di alcuni familiari lontani che in anni passati erano stati vittime di certe guerre.
Non c’è dubbio siamo cugini.
Mentre mangio la moffoletta si alza e torna con tante cose da bere: scelgo l’acqua. Gli do il mio numero di telefono, in un pezzo di carta scritto a penna. Abbiamo parlato di vivi e di morti, ha offerto lui come si fa con chi si invita a casa propria, e non ho potuto dire di no.
Una memoria ancestrale e genetica, fatta di palermitaneità sincera senza mai un dubbio l’uno nei confronti dell’altro. Parlando persino di mafia davanti a tutti, ma sopratutto parlando di una appartenenza bella, trasparente e pulita che mi ha fatto pensare di essere stato a casa.
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