Mentre rilasciamo i tesserini venatori, e stiamo mettendo in discussione la festa estiva di San Giuseppe, il Professore Antonino Russo ci racconta una parte di storia di questa tradizione con un occhio super partes.
Alcuni anni fa, durante la festa di San Giuseppe, il corso Butera era la sede della corsa dei cavalli. La partenza era fissata alla Puntaguglia. Il percorso di un chilometro era tutto in salita. Questo faceva sì che i cavalli partissero a spron battuto e arrivassero vicino al palazzo Butera con la lingua penzoloni.
Tutto il corso Butera era transennato. Le persone teoricamente dovevano sistemarsi al di là delle transenne, ma alcuni le scavalcavano e si portavano a centro strada per cercare di vedere i cavalli che avanzavano. A mano a mano che i veloci cavalli avanzavano le persone aprivano sempre più il varco e si ritiravano al lati del corso. Dopo avere assistito al passaggio al galoppo, le persone tornavano verso il centro strada, fino ad occupare tutta la carreggiata. Io che osservavo lo spettacolo dalla metà del corso Butera (dai balcone della casa dei nonni materni, ai tre portoni) godevo di una vista singolare che si ripeteva ad ogni corsa. Al momento della partenza alla Puntaguglia si vedeva un ondeggiare di persone, poi si udiva uno scoppio di mortaretto. A quel punto l’agitazione aumentava in tutto il corso. Alcune persone munite di binocolo urlavano dai balconi: paittieru!!!
Da lontano si vedeva il corso completamente vuoto che si andava chiudendo, riempito dalla folla che seguiva i cavalli, quasi spingendoli verso la meta: il palazzo Butera.
Se nei giorni della festa vedevi un amico che stava uscendo da casa con vestito elegante, gli chiedevi: unni vai?
Quello ti rispondeva: ‘a fiesta!
Nelle sere di grande affollamento alcuni giovani spostavamo il luogo della passeggiata: andavamo a piedi a Santa Flavia, ci sedevamo sui sedili della stazione ferroviaria e a tarda sera facevamo ritorno in paese. Il motivo della trasferta era semplice: non gradivamo il rumore assordante provocato dalla musica in piazza e dal vociare delle tante persone che affollavano il Corso Umberto.
Negli anni ’50 il discorso della festa patronale non era sentito da noi studentelli che seguivamo le varie mode. Oggi che saremmo in grado di apprezzare di più certe manifestazioni, queste si fanno in maniera ridotta.
NOTA:
Con il Professore ci siamo chiesti se non fosse oggi politicamente scorretto racontare della corsa dei cavalli. Poiché il racconto ha valore aneddotico, e di tradizione di un uso, ed è scevro da qualunque valutazione, che è rimandata alle coscienze di chi legge, abbiamo pensato che la sirenetta potesse continuare ad avere capelli rossi e carnagione eburnea.
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