Una certa tendenza tutta nostra al radical chic sembra dunque essere cosa… radicata! Ce lo racconta con arguzia il nostro Professore Antonino Russo.
L’intellettuale bagherese negli anni cinquanta del novecento camminava con un giornale sotto braccio e una cartellina piena di fogli stretta nella mano sinistra. La mano destra era libera per poter salutare i tanti amici che immancabilmente incontrava lungo i marciapiedi del Corso Umberto I. Questo veniva percorso più volte per poter salutare un buon numero di persone. In tal modo si poteva pensare che la giornata fosse iniziata nel migliore dei modi. La chiacchierata con i passanti conoscenti era d’obbligo e poteva durare per un giro di corso Umberto o per due, anche tre se l’argomento diventava interessante per i due interlocutori. Alcune persone erano capaci di andare avanti e indietro per buona parte della giornata: con la dovuta pausa per il pranzo e per qualche altra necessità. A volte si passava da un marciapiede all’altro per salutare un altro amico col quale faceva comodo parlare,o al quale s’intendeva fare qualche domanda. Di passeggiatori infaticabili ne ho conosciuti diversi. La sera erano esausti, ma soddisfatti. Questi intellettuali tornando a casa avevano da leggere il giornale che avevano tenuto per tutto il giorno sotto braccio. Certo, se lo avessero letto la mattina avrebbero avuto più temi su cui soffermarsi nelle conversazioni con gli amici, ma qualcosa poteva venire fuori per la mattina successiva. Per gli abitudinari del corso Umberto non vi era bisogno di fissare appuntamenti per il giorno seguente, tanto si ritrovavano immancabilmente. Ogni giorno si ripetevano le medesime scene. E andava bene così. Il corso Umberto era entrato talmente nella nostra testa che io, pur essendo lontano dallo stesso ormai da tantissimi anni, lo sogno ancora spesso la notte. Il Corso Umberto per noi bagheresi è il luogo di tutto: per prima cosa della passeggiata giornaliera. E’ il primo posto che trovava posto nel tuo quotidiano prima e nella tua memoria poi, sin dall’infanzia. E ti accompagna per tutto il resto della vita, anche quando, come me, ci si trasferisce altrove.
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