Gio. Nov 21st, 2024

La socialità ha preso una direzione diversa. Combattere la solitudine reale con gli amici virtuali è la nuova frontiera.

L’incontro di oggi agli Anni 20 con il Tiktoker campano da 18mila follower, Carlomarald, ci da lo spunto per una riflessione spicciola a 360 gradi su alcuni aspetti dell’uso dei social che vanno indagati e moderati, ma non necessariamente demonizzati.

In primis la caratterizzazione del social che si usa. Ci sono social ormai indirizzati ad utenze generazionali precise, e questo ne ghettizza un po’ l’utilizzo. Altri che veicolano informazioni e stili di vita, e altri ancora che hanno una connotazione ludica fine a se stessa. Tutti rispondono alla necessità di ognuno di noi di essere parte riconoscibile di una comunità, e a quella insita voglia di esibire la propria esistenza, ognuno coi mezzi che ha.
Tik Tok consente come altri l’esposizione e il confronto.

Carlo ci racconta di come in un momento personale molto difficile, comunicare coi figli, avvicinandoli sul loro territorio, quello moderno dei social, lo ha salvato dalla depressione, o quanto meno da quelli che lui riconosce come sintomi della depressione.
Avere affrontato temi come l’omofobia o la disabilità, nel corso della sua carriera da Tiktoker, per una sua personale sensibilità, lo ha avvicinato ad un mondo in cui fare comunità è fondamentale.

Attenzione: sono sempre tematiche delicate, e la responsabilità di chi non ha competenze specifiche è grandissima, ed è innegabile: l’idea del gruppo di supporto social modello alcolisti anonimi, è altra cosa, ma non è troppo distante.
A volte poi la genuinità di certi personaggi, come Carlo, la loro semplicità, seppure messa a dura prova dal dovere gestire un po’ di notorietà, può essere un pregio.
Ci racconta una sua follower bagherese, molto nota in città, M.C., che essersi avvicinata al mondo virtuale di questo social l’ha salvata da sere sul divano a riflettere e rimuginare sulla propria tristezza, e parliamo comunque di una persona socialmente attiva e presente nella comunità.
Ma allora cosa manca?
Manca l’inclusione sociale, mancano le politiche attive.
Mancano di certo a livello nazionale, ma mancano ancora più colpevolmente a livello locale.
Se il disagio dei giovani si manifesta in quegli assedi alla normalità con tanto di benestare degli amministratori che fanno finta di non sapere di cosa si tratta, il disagio sociale di chi si avvicina alla mezza età è ancora più disarmante perché cozza con quelle iniziative promosse da questa città che sono piuttosto settarie che inclusive. Dai concerti, alle manifestazioni, ai patrocini delle iniziative delle lobby che gravitano intorno ai palazzi.
Che le persone debbano rivolgersi al virtuale potrebbe essere solo il segno dei tempi, ma non possiamo non rimpiangere il vecchio modo di essere città, avvolgente e mai distratto, il quartiere, il rione, che ti riconosce, ti include e ti redime. Oggi questo è affidato ai social, e ringraziamo che ci sia comunque un modo di fare comunità. Ma quanto era bello lo struscio sul corso?!?

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.