Ven. Set 20th, 2024

Quando e se ci fermiamo a ricordare gli eroi morti nella lotta alla mafia, l’analisi del fenomeno e della sua evoluzione nei decenni, ci lascia con una sola certezza: il crimine organizzato agisce meglio laddove pensi di averlo sconfitto e abbassi (o fai si che si abbassi) la guardia. Per onorare quegli eroi puoi anche fuggire l’ipocrisia delle celebrazioni, basta non smettere mai di parlare di mafia.

Chi dice di non sapere cosa sia la mafia e la declinazione della sua fenomenologia, ed ha vissuto e vive nelle nostre latitudini, o fa finta di non conoscere la mafia per paura, oppure fa finta di non conoscere la mafia perché inserito nel contesto, e in qualche modo, fosse anche solo quello della tolleranza o indifferenza, sarebbe già una forma di complicità.

Lo segnalava la DIA (Direzione Investigativa Antimafia), già nella relazione al Parlamento per il II semestre 2021: la mafia si è evoluta, non è più la mafia violenta delle estorsioni e degli omicidi, sta lì dietro le scrivanie, e l’organo di contrasto, citava come momento di criticità, il bagno di soldi in arrivo con le varie misure Europee, PNRR in testa. (Per approfondire la vicenda potete leggere un’articolo di allora, al seguente link).

Il giornalista Giuseppe Fava nella sua ultima apparizione pubblica, prima di essere assassinato dalla mafia, delineava caratteristiche precise del fenomeno mafioso. Lo faceva 40 anni fa esatti (tanti ne sono passati dal suo omicidio il 5 gennaio del 1984 a Catania) rispondendo a Enzo Biagi.

Due cose sono chiare:
la mafia non era solo estorsione o forse non lo era più già allora;
il degrado sociale, il decadimento culturale che oggi tutti noi vediamo nelle nostre strade è figlio della mafia ed è il fenomeno di imbarbarimento che aveva predetto proprio Fava. Sapete come si fa a capire se in quegli anni un giornalista aveva ragione? Quando lo trovavano morto!

foto ANSA

La mafia è un fenomeno che va considerato sotto due aspetti, quello meramente criminale e quello culturale. Quello criminale, come ci tengono a sottolineare le nostre istituzioni locali, evolve e puoi facilmente sbagliare bersaglio. Parli di un fenomeno minore e della sua repressione, e (più o meno volontariamente) hai confuso le acque distogliendo l’opinione pubblica dalla nuova forma di reato o di illegalità perpetrata. Quello culturale, è l’aspetto radicato in un certo modo di affrontare la socialità ed è quello che va a braccetto coi massimi sistemi perché gestisce legami, collegamenti, rapporti che un contadino scanna capre non può in alcun portare avanti, per quanto furbissimo.
Quel livello di commistione tra criminalità e sistema, ad un certo punto, entra prima nel mirino di Giovanni Falcone e poi in quello di Paolo Borsellino, mentre entrambi erano nel mirino della mafia.

La cultura mafiosa ha capito che l’omicidio eclatante o un gesto simile, oggi è controproducente perché è la marca da bollo sulla veridicità di quanto sostenuto dal soggetto messo a tacere. Oggi la voce fuori del coro la reprimi con l’isolamento, con la derisione, con la denigrazione, con la controinformazione (più o meno consapevole), con lo shit storming (per quelli più social), con le frasi del tipo ” vi lamentate sempre… è cosi da 50 anni”, che si traducono : “.. state zitti, tanto le cose non cambieranno mai, non lo permetteremo”.
Oggi la mafia è negli uffici burocratici con gli impiegati che fanno capo ad una corrente politica o ad un politico specifico, e si muovono di conseguenza, favorendo un certo andazzo. La mafia è nella gestione della cosa pubblica, in tutto quello che manca di trasparenza e che può dare adito a dubbio. La mafia è nella negazione delle illegalità che ti circondano, quando sono pericolose per la tua narrazione della realtà, resa così, più gestibile. La mafia è nei rapporti con quelle associazioni troppo vicine alle istituzioni, tanto da avvantaggiarsi rispetto ad altre nell’ottenimento di un privilegio o di una elargizione. Sono fenomeni talmente trasversali che il più sano ha la rogna (parafrasando un noto detto siciliano).
O ancora trovi una forte valenza intimidatoria, per te e chi ti sostiene, anche nella pubblica minaccia di una querela (magari usando un mezzo di comunicazione istituzionale) senza fondamento o senza che abbia seguito alcuno, magari in un momento preciso di esposizione cosi da isolarti e renderti inerte.
Perché a differenza della criminalità mafiosa, la cultura mafiosa (che vive nella mancanza di altre forme di cultura) è sempre espressa in qualunque forma di gestione occulta di potere. Aveva ragione dunque Pippo Fava: non c’è forma più occulta di gestione di potere, di certa gestione del potere politico. Gravissimo non è solo il politico che sa di agire in un certo modo, ancora più grave è il politico che agisce in un certo modo, perché è l’unico modo che conosce o perché agire in quel certo modo gli pare cosa normale.

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.