Ven. Set 20th, 2024

Prosegue il tour virtuale del Professore Antonino Russo tra la Bagheria della memoria e la realtà dei nostri giorni. Chi c’era allora ripercorre i luoghi con la mente, chi non c’era ne può soltanto piangere la perdita, in una città che non conserva nulla, spesso neanche la dignità.


Nei secondi anni ’50, Don Armando Trigona, nostro padre spirituale all’Associazione Cattolica san Giovanni Bosco presso la Madrice di Bagheria, ci ha dato l’incarico di sistemare la certosa.

Recatici sul posto ci siamo subito resi conto che c’era ben poco da sistemare: l’edificio era stato spogliato di tutti i manichini che lo adornavano. Abbiamo trovato pochissimi oggetti sparsi qua e là e un paio di affreschi su una parete. Il giardino era una desolazione: non vi erano piante degne di essere curate. Abbiamo subito restituite le chiavi e abbiamo rinunciato all’incarico.

Della magnificenza descritta dai vari viaggiatori del settecento non era rimasto alcunché. Rimanevano soltanto un paio di foto a testimoniare del passato splendore. Qualche foto l’abbiamo recuperata. Per il resto, nulla.

Il giardino della Certosa era stato il parco di Palazzo Butera, con alberi, piante varie, statue e vasi ai bordi delle aiuole. Al centro del parco vi era una fontana scenografica con un albero affusolato e una statua alla base.

La Certosa, collocata a chiudere il parco, era stata ideata dal principe di Butera Ercole Michele Branciforti. Questi, in un edificio di stile romanico, aveva fatto organizzare un piccolo convento di monaci Trappisti, con un primo vero e proprio museo delle cere. I manichini avevano la testa in cera e il corpo in legno e paglia, rivestiti dal caratteristico saio. Il principe da abili artigiani ha fatto ricostruire le sembianze di alcuni dei suoi contemporanei. Entrando nella Certosa il visitatore aveva la sensazione di entrare in un convento vero e animato, tanta era la naturalezza delle statue che vi albergavano. A detta dell’avvocato Oreste Girgenti, che l’ha visitata quando era ancora in ottimo stato di conservazione, Ferdinando I di Borbone rimase colpito dalla estrema somiglianza della sua statua che stava insieme a quella di re Luigi XVI di Francia e a quella di Ercole Michele Branciforti. É stato un vero peccato che tutto il complesso sia andato in rovina nel giro di pochi anni. Nessuno è riuscito a rimetterlo in piedi, malgrado diversi tentativi fatti da alcuni fino agli interventi di recupero del 2008 e successivamente da quando offre i suoi spazi al “Museo del Giocattolo” di Pietro Piraino (nonostante oggi sia teatro di fantasiosi conferimenti di rifiuti nei pressi del prospetto e nuovo degrado all’ingresso posteriore n.d.r.)

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Di Antonino Russo

Bagherese del ‘36, nel 1959 si trasferisce a Napoli per insegnare in una “elementare” nel popolare e pittoresco rione Vergini - Sanità. Si lascia coinvolgere dai fermenti culturali di Bagheria, dandosi proficuamente alla poesia, ma anche alla saggistica e alla narrativa. Collabora con numerose testate, è sociologo dal 1990.