Lun. Mar 10th, 2025

Il Senatore Carmine Mancuso ricostruisce parte degli eventi che nel brigantaggio, nascondevano la genesi del fenomeno mafioso moderno e non solo.

Il periodo che dal 9 luglio 1943 fino a giungere al 16 aprile del 1948 è la chiave della storia d’Italia che si dipana tra lo sbarco degli alleati in Sicilia e le elezioni politiche che – almeno ufficialmente – chiusero la pagina dell’epopea del ventennio fascista. 

L’Italia percorsa da tedeschi e alleati – dopo la disfatta del regio esercito italiano – era dilaniata da una fratricida guerra civile e divisa in due: a sud ancora feticcio della monarchia e a nord  con la cosiddetta repubblica di Salò sotto l’usbergo delle truppe nazifasciste. 
Ciò che appariva era un vasto teatro dove – seppur celatamente –  agivano le grandi potenze in lotta fra di loro per la supremazia e il controllo di un’ Italia che era una piattaforma disponibile per tutte le avventure, compresa anche una probabile rivoluzione. 

Necessari erano sia l’intrigo che la forza. Il microcosmo Sicilia – perla strategica del Mediterraneo – rappresentava gli interessi principali. Una tale base – qualora l’Italia fosse caduta sotto l’influenza comunista a cui miravano gli interessi dell’Urss –  diede luogo all’espandersi degli intrighi angloamericani per incoraggiare il separatismo servendosi sia della mafia che dei banditi trasformati in guerriglieri.
Tra questi Salvatore Giuliano. 


Costui – usato come pedina per turpi e torbidi interessi culminanti in questo periodo- divenne funzionale al rapporto mafia- stato in un sottile intreccio con politica, mafia e massoneria  sfocianti nella tragedia che tuttora si trascina. 


Giuliano è stato uno dei personaggi più emblematici della Sicilia; certamente in quel contesto storico il bandito più celebre del mondo di allora.
Ogni dopoguerra assiste alla modificazione brutale della società che si trasforma in catastrofe nazionale, rendendo dilagante la criminalità comune.
Giuliano era un contadino di ventitré anni quando uccise un carabiniere che tentava di sequestrargli un sacco di grano di contrabbando. In quegli  anni  mafia, stato, poteri occulti ed alleati se ne servirono per i loro turpi interessi elettorali, sfruttando la sua ferocia con crudeli inganni  e – causa la sua ingenuità – lo utilizzarono per attribuirgli  questa ripugnante impresa criminale che tuttora cela i volti dei cospiratori  del fronte antibolscevico avvenuta il primo maggio 1943 a Portella, prima strage di Stato nei confronti dei contadini social comunisti che oltre a festeggiare il primo maggio celebravano anche la vittoria alle regionali siciliane del venti Aprile che aveva visto trionfare il blocco del popolo. 

Interessante ricostruzione che potete leggere qui

Salvatore Giuliano alternava momenti di compassionevole attenzione verso contadini e diseredati dosando giustizia sociale e ricerca di eguaglianza, combinandola ad una fredda crudeltà ancor  più implacabile di qualsiasi arma.

Il cinque Luglio l’epopea Giuliano ha il suo epilogo. Il suo corpo –  rinvenuto in Castelvetrano nel cortile dell’avvocato Gregorio Di Maria – fu rinvenuto crivellato da colpi sia di mitra che pistola. Il corpo presentava molti punti ancora oggi non chiariti. Giaceva bocconi, addosso un pantalone e una canottiera coi rivoli di sangue che invece di procedere verso il basso – contro ogni legge fisica –  tendevano verso l’alto. La motivazione ufficiale – tra l’altro certificata dall’allora ministro dell’Interno Mario Scelba – fu che il bandito nel vano tentativo di fuggire era caduto sotto i colpi di un commando di Carabinieri che individuato lo colpirono a  morte dopo una cruenta sparatoria protrattasi per lungo tempo lungo le vie cittadine. 
L’unico ad accorgersi – in modo  singolare – fu il giornalista Tommaso Besozzi dell’Europeo che catapultatosi  da Roma a Castelvetrano scrisse un articolo diventato oltre modo celebre :  “… di sicuro c’è solo che è morto… Chi l’ha ucciso non si sa”.

A seguito dello smembramento della banda alcuni entrarono in conflitto a fuoco con esponenti delle forze dell’ordine, altri  furono arrestati con la compiacenza e la segnalazione di esponenti mafiosi. Nelle celle dell’Ucciardone finì anche Gaspare Pisciotta,  il suo luogotenente. 


Nel momento della celebrazione del processo a Viterbo – relativo alla strage di Portella –  i giudici del processo e tutti gli astanti rimasero letteralmente stupiti e sgomenti quando dall’interno della gabbia – dove sedevano alcuni esponenti della banda ancora vivi – Gaspare Pisciotta si attribuì l’assassinio di Giuliano eseguito durante il sonno di costui. Lo stesso luogotenente rese pubblici i nomi dei mandanti politici della strage tra i quali non vi era alcun mafioso ma tre esponenti politici e massoni e con tono greve e vibrante ma carico di tensione da far tremare gli astanti dichiarò:  In tutti questi anni mafia, banditi e polizia siamo stai un tutt’uno come padre, figlio e spirito santo,  riservandosi di chiarire successivamente le circostanze di come la banda fosse stata strumentalmente usata in un successivo processo.  

Lo stesso non fu mai celebrato . 

Pisciotta fu trovato avvelenato mentre era ospite nel carcere dell’Ucciardone a seguito di altro avvelenamento ai danni di un altro esponente della banda, tale Nunzio Badalamenti. Fu cosi che venne messa una pietra tombale sui banditi sopravvissuti che avrebbe potuto mettere a repentaglio  l’identità di chi aveva gestito – per i suoi torbidi interessi – la banda Giuliano. 
Inopinatamente l’avvocato Gregorio Di Maria –  come lo stesso dichiarò-  era stato costretto ad ospitare Giuliano nei sei mesi precedenti la sua morte. Lo stesso avvocato non venne mai arrestato per favoreggiamento ma fu impacchettato e spedito in America. Insieme al Di Maria vivevano il vecchio padre e una fantesca, tale Nedda Frosina. Nessuno di questi ebbe mai conseguenze di carattere giudiziario. 
Quando vuole la legge non e’ affatto uguale per tutti ma sa ben chiudere non solo un occhio ma entrambi.
Il Di Maria protrasse la sua esistenza sulla terra oltre la soglia dei novant’anni. Nel 2010 – essendo tornato in Castelvetrano già da tempo – venne ricoverato nel reparto di medicina del locale ospedale e qui durante la sua breve degenza – precedente la sua dipartita e grato delle cure ricevute da un compassionevole infermiere chiamato Giosi Zito – dichiarò fatti che cambierebbero totalmente tutte le versioni date sulla fine del re di Montelepre. 
In primis disse che Turiddu a Portella delle Ginestre – benché  presente – non sparò mai un colpo e che ad essere ucciso il 4 luglio 1950 non fu Giuliano ma un suo sosia straordinariamente a lui somigliante. Lo Zito fu convocato varie volte dai magistrati di Palermo e ritenuto attendibile. Dalle ricerche fatte emerse che il giovane ucciso al posto di Giuliano era tale Antonino Scianna, scomparso alcuni giorni prima da Altofonte senza che se ne fosse saputo più niente. 
Dalle affermazioni dell’avvocato Di Maria lo Scianna fu portato a casa sua già morto la notte del 4 Luglio dove erano già presenti Giuliano e Gaspare Pisciotta. 


In un primo momento lo stesero sul letto dello stesso Giuliano ma poi decisero di trasferirlo in cortile. Scendendo dal primo piano il cadavere cadde rompendo il femore. Giuliano rimase nascosto nella sua stanza certo che la messinscena avrebbe evitato la sua ricerca. Sempre dalle dichiarazioni  del Di Maria la mattina seguente Giuliano fu portato via. 

Sembra che lo stesso abbia  lasciato un memoriale in cui raccontava tutte le verità dei delitti accollatigli, tra cui la strage di Portella con nomi dei politici e delle altre persone coinvolte. Un alto funzionario di polizia – a cui era stata affidata  superiormente la regia dell’infame commedia – nel frattempo aveva fatto sottoscrivere a Giuliano un altro falso memoriale che scagionava  anzitutto i politici e tutti gli occulti manovratori.
L’autentico documento  rimasto in mano al Di Maria – sempre  sotto pressante minaccia – fu poi recuperato e fatto sparire per sempre da chi ne aveva superiori interessi.
L’avvocato chiarì anche di essere stato costretto ad ospitare Giuliano in casa poiché  facilmente influenzabile e minacciato di morte tanto dal doversi  esimere dal rivelare alcuna verità . 

Castelvetrano

A conclusione di tale racconto pochi giorni prima di spirare – oramai debilitato con voce fioca e raschiata dal malessere – concluse il suo racconto dichiarando che Giuliano –  protetto da servizi segreti  denominati anello della repubblica (servizio ultra segreto  italiano al servizio della Cia nella sezione riguardante fatti italiani) –  ritornò a Montelepre nel Gennaio del millenovecentosettantuno  già quarantottenne accompagnato da agenti della Cia  per i  funerali della madre Maria Lombardo e fatto subito rientrare. 

Tale storia apparentemente surreale, tema per un film favolistico da spy story, non è da ritenere una mascherata ma una storia intrecciata o parallela dei veleni ideologici che in un momento di grave instabilità fece  da piattaforma alla nascita – sia pur di una quasi leggenda – di ferocia , di rabbia e disperazione e di trame inconfessabili come di paure, tradimenti e menzogne. 
Un vero cantico dei delitti che dal peccato originale – che scaturisce dal cortile di Castelvetrano oggi teatro di altre turpitudini – sfocia nella sua tenebrosa teatralità nell’ambigua e amara storia della Sicilia e dell’Italia dei complotti e delle stragi.

Carmine Mancuso

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Di Redazione

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