Ven. Set 20th, 2024

Il personale del presidio di emergenza territoriale interviene e rianima una paziente. Quando la sanità diventa esempio, nonostante alcune criticità.

Il 29 febbraio scorso intorno alle 13, secondo quanto appreso da numerosi testimoni presenti, una donna di mezza età si è presentata al Presidio di Emergenza Territoriale, accusando un forte dolore al petto. Durante i primi accertamenti la paziente sarebbe andata in arresto cardiaco e solo il pronto intervento dei sanitari sarebbe riuscito a rianimare la malcapitata che era giunta lì con il marito. L’episodio, trapelato solo in queste ore, non sarebbe neanche l’unico salvataggio in estremis, accaduto nei locali di via Capitano Luigi Giorgi. Ma come spesso accade: la brutta notizia fa più audience della bella notizia.
Il solo PTE ha registrato nello scorso anno oltre 8000 accessi, senza contare che è ospitato nello stesso luogo anche il presidio della Guardia Medica, che pare statisticamente non sia da meno.
Questa convivenza però, insieme ad oggettivi incauti interventi esterni (per esempio le indicazioni stradali), ingenerano nell’utenza tutta una serie di incomprensioni ed equivoci.

Stato pietoso del cartello stradale che indica, per altro erroneamente, un Pronto Soccorso

Bene farebbe l’ASP a incentrare una campagna di informazione in cui siano meglio sottolineate le diverse prerogative di cui godono un Pronto Soccorso, un Presidio Territoriale di Emergenza e una Guardia Medica.
Pare evidente che non avere alle spalle una struttura ospedaliera con vari reparti, limiti molto la possibilità di intervento del personale sanitario, il cui ruolo non è molto diverso da quello di una ambulanza medicalizzata con l’impossibilità per altro di lasciare incustodito il presidio, ma anche l’ovvia assenza di alcuni apparati medicali, in primis quelli che in un PTE non sono previsti, ai quali si aggiungono però, alcune mancanze che sono più di una leggenda metropolitana e che a volte si è costretti ad ammettere. Bisognerebbe inoltre impedire a chiunque, di giocare con le terminologie (una casa di comunità non è un ospedale), essere equidistanti dalle autorità tutte e ricordarsi che in prima linea ci sono questi operatori dell’emergenza, e vanno tutelati.

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.