di Rocco Gumina
Il Vangelo che accompagna questo anno liturgico è quello di Luca. Sappiamo che si
tratta del Vangelo della misericordia e dei poveri, della preghiera e dello Spirito.
Quello di Luca è anche il Vangelo che mostra un’evidente preoccupazione nei confronti della storia.
Le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli sono forti e inducono, intanto, a riflettere su quell’abilità che in un modo o in un altro tutti i cristiani sono chiamati a maturare: scrutare evangelicamente i segni dei tempi. Il Concilio Vaticano Il, e in modo particolare la costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ribadito la fondamentale rilevanza del saper intendere in Cristo liberatore le evidenze della storia, dei suoi movimenti, dei popoli e delle culture:
È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita
presente e futura e sulle loro
relazioni reciproche (GS, 4)
È chiaro che l’interpretazione in senso cristiano della storia, e dei segni in questa generati, non risiede in un esercizio culturale o filosofico bensì in una tensione profetica volta ad individuare tutto ciò che libera l’uomo dalla morte, dalla schiavitù, dall’egoismo, dalla miseria, dall’ansia, dalla paura e dalla superficialità.
Di conseguenza la liberazione, che è sempre più vicina, riguarda l’integralità dell’uomo ovvero le risposte al senso e alle attese della propria esistenza, ma anche al miglioramento delle sue condizioni sociali, politiche, economiche e culturali. Si tratta di una liberazione strettamente congiunta ad un’attesa vigile richiesta al credente.
Un’attesa che – lungi dall’identificarsi con l’inoperosità – ricerca attraverso la preghiera, la condotta di vita, la veglia, di sfuggire alle negatività del mondo pur rimanendo ancorati in questo.
Il Signore operante nella storia, e che invita gli uomini a seguirlo nella sua volontà, è
anche la narrazione principale che riguarda il popolo ebraico. Il profeta Geremia, infatti, intravede l’avvento della giustizia di Dio tramite Davide, chiamato a declinare concretamente la rettitudine nella amministrazione delle cose del mondo e nell’esercizio di quella responsabilità per il
creato che già nel racconto genesiaco il Signore affida all’intera umanità.
Una responsabilità che nella preghiera, come emerge nel salmo 24, si traduce in affidamento a Dio, in richiesta di sostegno e conforto.
Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi, sembra chiarire le peculiarità dell’attesa cristiana costituita dalla saldezza del cuore, dall’irreprensibilità nella condotta di vita, da una continua progressione nello accoglimento della santità di Dio.
L’attesa attiva, insomma, è la quoti- diana fatica del cristiano che papa Francesco al numero 7
di Gaudete et exsultate ritrova nei
genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che con- inuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante.
In tal modo Bergoglio de- scrive quella classe media della santità che in ogni epoca della lunga storia del
cristianesimo ha manifestato l’indissolubile legame fra fede e opere. Un legame destinato ad annunciarci che la nuova storia in Cristo è già iniziata e che il suo Regno è già in mezzo a noi.
In definitiva, con l’invito allo stare attenti a voi stessi – richiamato e approfondito nelle altre letture -sembra che l’evangelista Luca mostri implicitamente la posa che qua- si in modo istintuale il credente è invitato a mantenere nel mondo: la vigilanza per fuggire dal male e per accogliere i segni del ritorno del Figlio dell’Uomo.
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Si ringrazia Adista Notizie
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