Gio. Nov 14th, 2024

Riproponiamo un ricordo del Professore Antonino Russo sulla celebrazione dei defunti.

Nel secondo dopo guerra le ristrettezze e gli eventi festosi facevano a pugni.
Se i doni dei morti erano magari un po arrangiati, era frequente allora la frase canzonatoria: cu t’u misiru i muorti?.
Un bella domanda che diventò un modo dire e che dovremmo porci anche nella Bagheria dei giorni nostri.

Fonte web

Il culto dei morti a Bagheria ha un risvolto festoso come in molte altre città. I morti imitano la Befana e il 2 novembre portano i regali nelle case dei bambini. Anche qui si specola un poco con la questione della bontà: i bambini buoni hanno più regali o li hanno più pregiati.
La mattina del 2 novembre i bambini fanno agli altri la medesima domanda: chi ti misiru i morti?
Ricordo che nel periodo bellico e post-bellico noi bambini eravamo costretti a dire bugie per non rivelare che il nostro bottino era scarso. C’era un altro elemento negativo: mia madre mi faceva trovare un paio di giocattoli (gli stessi dell’anno precedente), dopo qualche giorno questi giocattoli sparivano dalla circolazione per ricomparire l’anno successivo.

Foto dal web

Come ben si vede quella dei morti non era una festa uguale per tutti, ma buona per chi poteva permettersela.
Si andava anche al cimitero per ringraziare i morti dei regali offerti.
Naturalmente i genitori nascondevano i giocattoli per casa, la notte del primo novembre, quando i figli piccoli erano già a letto e dormivano. La mattina seguente quelli che potevano farlo mostravano in strada i giocattoli avuti in dono. Gli altri rimanevano tra le mura domestiche per non farsi vedere a mani vuote. C’era qualche dolcetto confezionato da zie più abili per addolcire la giornata. In tutto questo mi piace citare un risvolto comico. Quando si vedeva una persona con un oggetto strano fosse anche un capo di abbigliamento estroso, gli si chiedeva: Cu t’u misiru i morti?

Resta sempre aggiornato con noi. Scegli tu come: clicca sull’icona e seguici.

Di Antonino Russo

Bagherese del ‘36, nel 1959 si trasferisce a Napoli per insegnare in una “elementare” nel popolare e pittoresco rione Vergini - Sanità. Si lascia coinvolgere dai fermenti culturali di Bagheria, dandosi proficuamente alla poesia, ma anche alla saggistica e alla narrativa. Collabora con numerose testate, è sociologo dal 1990.