Mar. Dic 3rd, 2024

Un post del terzo genito del boss corleonese basta a fare capire i nuovi indirizzi che si posono dare alla comunicazione sui canali moderni. I “messaggi” si possono veicolare anche con una faccina sorridente.

In questi giorni tra la cronaca della terribile tragedia del naufragio della Bayesian, praticamente nelle nostre acque, e il terribile ennesimo rogo di rifiuti in contrada Monaco, per fortuna c’è chi si è potuto occupare degli orari di villa San Cataldo o della morte di Alain Delon. Ma il mondo non si ferma a Bagheria e le cronache hanno parlato anche dell’ultimo figlio di Totò Riina che prende in giro sui social l’intitolazione della strada dove ha vissuto la sua famiglia, ad una vittima di mafia, il giudice Cesare Terranova.

L’uccisione di Terranova, il 25 settembre del 1979, insieme al maresciallo Lenin Mancuso che per anni era stato il suo angelo custode, segna paradossalmente il cambio di passo verso quella comunicazione irrispettosa di certi dettami omertosi trasversali a tutte le tastate giornalistiche e alla stragrande maggioranza degli operatori del settore di allora. Sarà la foto scattata da Letizia Battaglia, nella sua crudezza a fare da linea di demarcazione.

La comunicazione che qualche vittima aveva pure dato all’altare delle ricerca della verità (Cosimo Cristina, Mauro De Mauro) subirà altri importantissimi attacchi (Peppino Impastato, Spampinato, Francese, Rostagno, Alfano, Fava per citarne alcuni).
Oggi la comunicazione è social sempre più in modo esclusivo. E allora anche il modo di mandare certo tipo di messaggio si è adeguato inevitabilmente. Se Riina junior nel rivendicare il vecchio nome della via dove abitava il padre, afferma il proprio esserci, certi modi di esserci, sui social sono comuni a molti personaggi a vario titolo, dal politico che sfrutta la propria posizione comunicativa per ridurre al silenzio i detrattori, all’amico del potente che appone la faccina sorridente a suggello della propria visione della realtà spesso mal interpretata, per sincera adesione amicale, o peggio per consapevole imposizione del punto di vista superiore (solo perché è il punto di vista di chi gestisce, più o meno occultamente, potere).

Ma ancora altri modi di esserci, sono la mobilitazione di profili vari (anche falsi se è il caso) che si occupano di isolare e additare l’interlocutore tramite la derisione o la denigrazione (che equivale ad apporre un bersaglio e non importa quale sia la natura del colpo che arriva), o il minacciare, dall’alto di un ruolo istituzionale, un procedimento legale (che non arriva mai) per zittirti in una intimidazione a carte bollate, e chi più ne ha più ne metta.

Carmine Mancuso

Scrive Carmine Mancuso, figlio di Lenin, in una lettera aperta pubblicata anche sui social, rivolgendosi a Salvo Riina:

Il giudice Terranova e il maresciallo Mancuso furono i primi che ebbero il coraggio di indagare sulla mafia dei corleonesi, e ne portarono a processo ben sessantaquattro, quel famoso processo che per “legittima suspicione” si tenne a Bari, e dove tutti vennero assolti, tranne suo padre, che fu condannato a un anno e sei mesi di reclusione per possesso di patente falsa... Ecco perché, egregio signore, la via dove lei abita a Corleone è stata intitolata al giudice Terranova. Se ne faccia una ragione, e soprattutto lo racconti ai suoi figli

Carmine Mancuso, lo ricordiamo, è uomo dello stato per mestiere e per essere sceso in campo politicamente, con schieramenti sempre trasparenti e scelte scomode e coraggiose.

Sen. Raoul Russo, Fratelli d’Italia

Dobbiamo innalzare l’asticella dell’attenzione anche sul piano della comunicazione sui social media – scrive il Sen. Raoul Russo di Fratelli d’Italia – perché lì, in quella rete immensa di interazioni possono passare, inosservati, messaggi che portano la firma sulfurea di Cosa nostra : “il mezzo è il messaggio” diceva Mc Luhan, padre dell’odierna comunicazione di massa, e il post di Riina jr ha inteso nascondere qualcosa di molto più pericoloso rispetto a un semplice messaggio estivo da condividere sui social.

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera

A queste si aggiunge significativa la dichiarazione di Don Luigi Ciotti:

quella di Riina junior non è una innocua battuta e non va sottovalutata, complice la pigrizia di questi giorni di vacanza, che rischia di trasformarsi in un inaccettabile torpore delle coscienze. La sua frase manda infatti un messaggio preciso: Corleone è ancora “cosa nostra“….
Quando le strade cambiano direzione è giusto che cambino anche nome.

Oggi la semplice polemica tra post nasconde più o meno volontarie venature che non vanno affatto sottovalutate, aggiungiamo noi nel nostro piccolo. Nell’invito a sottacere certe realtà, a minimizzare sempre, a prendere sottogamba le dichiarazioni di chi troppo spesso ci azzecca, si può leggere un incitamento all’omertà che era ed è la matrice primaria di certi fenomeni.

E allora c’è da chiedersi, ai vari livelli, che cosa muove certo modo di comunicare.

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Di Ignazio Soresi

Classe 1969. Si forma dai gesuiti a Palermo. Studia Economia e Commercio, Scienze Politiche, Scienze Biologiche ed in età matura, Beni Culturali ad indirizzo Storico/archeologico. Opera in ambito turistico. Ha collaborato con diverse testate.