Il Professore Antonino Russo interviene, con il suo aneddoto, in un’annosa diatriba che non riguarda solo l’uso del dialetto in se, ma la diffusione della cultura come linguaggio universale di emancipazione. Avere completato il corso di studi sino alla laurea, era per molti la realizzazione di un moto rivoluzionario di libertà. A qualunque età si conseguisse.
Nei primi giorni della prima media (eravamo nel 1946) la professoressa di lettere ci ha consigliato di parlare in italiano con i nostri genitori, nel tentativo di migliorare il nostro linguaggio. Io ho tentato a casa di utilizzare tale pratica, ma l’iniziativa si è interrotta sul nascere. Alla prima frase detta in italiano mio padre ha esclamato: parra comu ti fici to matri
Lí, prima d’iniziare, si è interrotta la pratica di parlare in italiano con i genitori. La mattina seguente a scuola tutti gli alunni dichiaravano di avere avuto lo stesso problema: nessuno era riuscito a portare avanti l’esperimento di parlare in italiano con i propri genitori.
Il compito di italiano che la professoressa riportava in classe corretto, era un disastro. Non c’era una frase a senza errori. Tanti di quegli errori venivano fatti nel tentativo di tradurre in italiano le frasi e le parole dialettali.
Quando parlavamo la professoressa di lettere ci interrompeva continuamente per correggere i nostri errori, ma questi venivano ripetuti ogni giorno. I nostri genitori e tutti i membri della famiglia allargata parlavano in dialetto.
Gli unici punti di riferimento per noi erano i professori a scuola. Alcuni di loro usavano spesso il dialetto per farsi capire meglio. Il mio primo compito ha avuto come voto 3. Al secondo compito siamo passati al 4. Alla fine dell’anno siamo arrivati al 5. Alla fine di quel primo anno sono stato promosso.
Dall’anno successivo, e fino al Diploma, sono stato sempre rimandato in italiano. Ogni volta, però, all’esame di settembre sono stato promosso. Sono stato sempre rimandato, ma mai bocciato. Questo, però, ha comportato che ho sempre trascorso le vacanze estive studiando.
A causa del caldo studiavo di notte e dormivo di giorno. La notte studiavo nel terrazzo, sotto una lampada accesa e circondato da insetti di ogni tipo. In media erano tre materie, ma in seconda magistrale le materie da riparare sono state sei: italiano, latino, francese, scienze, storia e geografia. Tutti mi sconsigliavano di fare la preparazione. Erano convinti che non ce l’avrei fatta. Io, come si dice da noi, mi vistivu ri minnitta, mi sono messo a studiare e a settembre sono riuscito a superare gli esami di riparazione. Quando si dice la forza di volonta!
Quella, però è stata una estate terribile.
Per fortuna questa situazione non si è più ripetuta. La consolazione, come dicevo,è stata che non sono mai stato bocciato. Ho finito il corso di studi nel tempo previsto. Non ho potuto, però, frequentare subito l’Università perché ho dovuto iniziare a lavorare. La laurea, poi, l’ho presa nel 1990 ,ma col massimo dei voti. Meglio tardi che mai!
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