In una città tornata agli ‘80/90 grazie ad una gestione antica, il racconto del Professore Antonino Russo ci spiega con una aneddoto personale degli anni ‘50, la genesi dei legami tra politica e famiglia, in una città che non evolve.
L’entusiasmo attorno ai primi comizi è stato enorme. Le prime battaglie politiche sono state combattute a suon di discorsi su un palchetto in legno costruito da alcuni militanti del partito di turno nella piazza Madrice. All’inizio i comizi esano uno squallore. Si vedevano due o tre persone sotto il palchetto e altre che guardavano a distanza. Perché a distanza? Perché altrimenti si poteva pensare che uno appartenesse a quel partito. Ognuno di noi, invece, era catalogato come facente parte del partito X o Y, a seconda della famiglia di appartenenza.
Il controllo da parte di chi di dovere era scrupoloso. Se una persona di una famiglia veniva vista passeggiare con un elemento di una famiglia che apparteneva ad un altro partito, subito le spie si mettevano in movimento ed avvisavano il capo di quella famiglia. Ecco cosa è capitato a me quando frequentavo la prima media. Un giorno in classe stavo parlando di sport con un ragazzo. E’ suonata la campanella che annunciava l’uscita dalla scuola. Io e il mio interlocutore, per poter proseguire la conversazione in atto, siamo usciti insieme. Purtroppo quel ragazzo apparteneva ad una famiglia che aderiva ad un partito diverso da quello a cui aderiva la mia. La stessa sera un tizio, incontrando il mio zio di riferimento, gli ha chiesto: suo nipote cosa vuole fare?
Io ho raccontato a mio zio che l’incontro con quel ragazzo era stato casuale perché non era un mio amico. Mio zio mi ha detto: d’ora in avanti fai in modo di non uscire più insieme a quel ragazzo.
Da quel giorno ho fatto in modo che quell’inconveniente non avesse più a verificarsi. C’era una cosa, però, che non mi tornava. Mio padre aveva compagni di lavoro che appartenevano a un partito diverso dal nostro. Il mio zio a cui ho chiesto spiegazione mi ha detto che il compagno di lavoro era un’altra cosa. Quando io ero ragazzo i grandi avevano sempre ragione, mentre i ragazzi avevano sempre torto.
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